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Da: Formiche.Net, 7 marzo 2014

Senza infrastrutture il declino è inevitabile

di Giovanni di Capua

Infrastruttura, parola che, anche nell’Italia postideologica e della politica frammentata, pare un tabù. È scomparsa dai programmi di governo, quasi dietro di essa si celi qualcosa di losco, di mafioso, di corruttela ineludibile. Eppure l’infrastruttura costituisce un termine di paragone fra arretratezza e sviluppo, tra vecchio e nuovo, fra lo star fermi e il progredire.

Un giornalista politico-economico, Beniamino Pagliaro, giovane d’età (è nato nel 1987) e fresco di idee, col suo Senza rete. Infrastrutture in Italia: cronache del cambiamento (Guerini e Associati), si rivolge alla gente comune, ma soprattutto a chi esercita un potere, per fare osservare quanto il nostro paese difetti di innovazioni (tecnologiche, ma in particolare strutturali), si potrebbe dire: per vizio congenito: connesso alla sua stessa storia unitaria, costantemente a due velocità, dispendiosa nel superfluo, avara nel necessario.

Nel suo volume, denso di esempi (il più emblematico è quello della rete ferroviaria a due binari, uno su cui «sfreccia l’alta velocità» mentre «sul binario accanto il treno regionale rallenta e si ferma per far correre il fratello più fortunato»), è rispecchiato un Paese a «disparità dominante», ma sostanzialmente privo del senso del futuro, di capacità d’azione in ogni comparto, ma di frequenti annunci di opere che però rimangono nei cassetti della burocrazia o, specifico io, di una democrazia non decidente. Certo, come riconosce l’a., «il debito dello Stato non lascia spazi. Il costo del lavoro e la pressione fiscale sono surreali». Ma non si può fermarsi a contemplare il passato e a piangersi addosso se restiamo indietro persino per costruire stradine per collegare una frazione col paesino montuoso di una regione del profondo sud.

Come giustamente nota Pagliaro, «il clima in cui l’Italia ha progettato, deciso, discusso (soprattutto) e costruito (poco) opere infrastrutturali o servizi di trasporto è carico di ideologie e miti, compromessi e promesse, forzature e superficialità». Però le infrastrutture «ti portano il lavoro, fanno arrivare la frutta al supermercato, il gas alle caldaie di casa. Insomma, costituiscono il substrato sul quale viviamo, ci sviluppiamo o siamo costretti ad arretrare rispetto alla civiltà circostante». Certo, la crisi economico-finanziaria mondiale ci ha penalizzati oltre la peggiore delle previsioni di governi zeppi di tecnici. Ma anche nelle famiglie più povere si usa aguzzare l’ingegno per non soffocare nella propria inerzia. Le infrastrutture, di qualsiasi tipo e collocazione, sono le vie attraverso le quali è possibile saltare il fosso delle difficoltà, in primo luogo quelle che noi stessi produciamo perché non vogliamo rischiare.

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