Italia Oggi

Da: Italia Oggi, pagina 14, martedì 28 gennaio 2014. Recensione di Diego Gabutti

Con delle reti (viarie ed elettroniche) che fanno pena, non solo si penalizza lo sviluppo,ma si scava anche un fossato fra gli italiani

Una rete arretrata, per non dire assente: trasporti su strada e per ferrovia troppo lenti, Internet a sua volta lenta e per di più ancora non abbastanza diffusa, aeroporti vecchi (a partire da quelli nuovi) che sono un pessimo biglietto da visita per il paese e scoraggiano il turismo. È il ritratto delle infrastrutture italiane schizzato con abili tocchi da Beniamino Pagliaro, giornalista all’Ansa e animatore del blog Coseinfila.it, in un saggio bello e importante, Senza rete. Infrastrutture in Italia: cronache del cambiamento, Guerini & Associati 2014, pp. 124, 20,00 euro.

Niente di piagnucoloso, nessuna iperbole. Senza rete non è uno dei soliti reportage dal paese dell’arretratezza che i giornalisti italiani, magari compiacendosene un po’, sono costretti a fare perché il paese è quello che è. L’Italia, infatti, è pur sempre il paese delle autostrade incapaci di tenere il ritmo dei trasporti su strada nell’età della globalizzazione e dei porti marittimi sempre più periferici (le grandi compagnie che trasportano decine di migliaia di container carichi di merci dall’Asia preferiscono attraccare nei porti in ascesa inarrestabile del Nord, meno costosi e di gran lunga meglio serviti dalle reti di distribuzione). L’Italia era e rimane il paese degli aeroporti inutili, costosi e tarocchi (un esempio su tutti: Albenga, dove fino a qualche tempo fa, ogni venerdì sera, era previsto l’unico volo settimanale che riportava a casa, guarda caso, l’ex ministro berlusconiano Claudio Scajola, che non aveva brigato per avere un aeroporto sotto casa.

In Italia, tasse e costi energetici sono a dir poco «surreali». Non c’è discorso sull’Italia che possa prescindere da queste premesse. Ma l’Italia, dice Pagliaro, è anche un paese in cui «il cambiamento è possibile» e in cui, «persino» secondo l’Economist, «ci sono idee» e «l’export tiene ed esalta i prodotti con un alto valore aggiunto». Anche qui, in una nazione sempre tentata dal pauperismo, dove il partito progressista negli anni delle sue grandi avanzate elettorali era ostile alle autostrade, ai supermarket (che avrebbero «americanizzato» il paese, così bisognoso piuttosto di sovietizzarsi) e non voleva (vade retro, consumismo) la televisione a colori, ci sono anche solidi motivi di speranza: i treni veloci di Nuovo Trasporto viaggiatori, «la società fondata da Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle e Gianni Punzo», oppure i corrieri espressi di Milano e Torino, per fare solo un paio d’esempi. Cresce, anche se ancora siamo lontani dalle medie europee, la consuetudine degl’italiani a valersi dell’e-commerce, dei voli low cost, delle connessioni veloci. Ma non basta. È il momento di togliersi dal punto: l’Italia deve unirsi al proletariato della globalizzazione. Senza arricciamenti di naso e togliendo il pallino di mano alla nomenklatura inetta e passatista che ha governato il paese negli ultimi trent’anni.

«Senza rete si può anche crescere», conclude Pagliaro. «L’assenza di rete lascia spazio, e c’è chi lo sfrutta. Se lo stato non pensa alla banda larga, le imprese che ne hanno bisogno dovranno correre dal primo operatore privato in grado di portar loro i 100 megabyte al secondo. Se le Fs non garantiscono il servizio merci, i grandi dello shipping guardano altrove. Ma è giusto sia così? Solo chi può paga? Il costo sociale per un paese senza rete è troppo elevato. Senza rete, si amplia a dismisura la distanza tra l’Italia e gli italiani, tra quelli che sono connessi per forza, svegliati dall’emergenza continua, dall’impresa che deve rimanere sul mercato, e un’ufficialità ingessata. La crisi ha imposto senso della realtà. I nodi della rete attendono. Non sarà un one click, ma non si può più aspettare».

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