Ok boomer, partiamo

C’è stato un momento in cui ho capito che non avrei più voluto tirarmi indietro. Non penso sia stato per colpa di quel collega che continuava a stampare una presentazione orizzontale su A4 verticali. Non penso sia stato nemmeno, in effetti, per quel ministro della Repubblica che accusava una generazione intera di essere choosy. Non è sicuramente stato quando ho scoperto lo stipendio del mio vicino di scrivania.

È cominciata così. Mi sono messo a prendere degli appunti, sul telefono, sul taccuino, su una questione di cui non mi sarei dovuto, come dire, occupare professionalmente. Questa lista si è riempita, gonfiata di numeri e virgolette. Un giorno li ho messi tutti assieme e forse allora ho capito: dobbiamo parlare del problema che ha l’Italia con la sua classe dirigente degli anni 2020-2050.

Te li presento: siamo noi, i millennials, e questa è la mia nuova newsletter. Si chiama Ok boomer, e non dovrei dilungarmi in spiegazioni. Ma ci provo: Ok boomer è un po’ strafottente, più per l’Ok che per il boomer, che è puramente descrittivo. In quell’Ok c’è tutto un mondo di incomprensione, c’è la risposta a un professore senza speranze, a mia madre (ovviamente) che mi chiede perché all’allenamento devo sempre essere l’ultimo a uscire dal campo, a un qualsiasi amministratore delegato che nel 2021 scopre la “prevalenza del digitale”.

Ok boomer. Abbiamo capito. Però, tolta quella dose di strafottenza che del resto ci riconoscete come generazione, ora possiamo parlarne, anzi dobbiamo. Ok boomer è una frase per chiudere il discorso ma dovrebbe essere l’inizio di una conversazione.

Ho pensato che sarei stato più felice di iniziare a parlarne che no. Senza troppe regole: è una newsletter, si può leggere e inoltrare a un amico. Ci si iscrive qui. Se rispondi, leggo e ne parliamo.

Sono stato abbastanza abituato ad essere il più giovane nella stanza e a volte mi dev’essere parso divertente, figo, come dicono i giovani, no? Con il tempo ho capito che è più noioso, e faticoso. Oggi sostengo che sia proprio un problema.

Dato che iniziamo oggi, ho pensato che potremmo partire dalle basi. Quando dico millennials, parlo delle persone nate tra il 1980 e il 1996. L’etichetta millenaria deriva dal fatto che nel 2000 questa generazione iniziava a uscire dall’università. Quando dico boomers, parlo delle persone nate tra il 1946 e il 1964. 

Ho fatto però questo esercizio sulle basi anche con me stesso (certo, scrivere è parlare anche con se stessi).

Dunque, cosa voglio dire e cosa NON voglio dire:

  • Vogliamo guidare noi (il paese, la città, l’azienda) e in effetti pensiamo di poterlo fare meglio di voi. Perché siamo d’accordo che non siamo messi benissimo, no?
  • Eppure, non esiste il noi, perché siamo una generazione davvero frammentata (ne parleremo)
  • NON siamo vittime, dunque NON faremo le vittime
  • Ma vogliamo togliere qualche ostacolo che rischia di diventare un alibi. Per noi e per voi


Benvenuti, dunque. Parliamo di un conflitto latente, partiamo dai numeri: i millennials sono la generazione che ha vissuto i tempi peggiori per crescita economica dal diciottesimo secolo. Comprare casa per un millennial è spesso molto complicato. Abbiamo affrontato la crisi finanziaria del 2008, la crisi del debito e ora la crisi del Coronavirus. Fare affidamento su una vera pensione statale, per questa generazione, sembra un’ipotesi da amanti del rischio. Questi sono dati di fatto, che valgono per noi e per me: non ho ancora comprato una casa. Pago un affitto per la casa dove vivo a una signora (boomer). Con il mio lavoro finanzio la pensione dei giornalisti (boomer).

Ma questa storia è dannatamente più importante di un singolo: è la storia che plasma il mondo in cui vivremo, riscrive i percorsi delle famiglie, rivoluziona i fondamentali dell’economia dall’acquisto al consumo, cambia le nostre case, modifica gli equilibri di come scegliamo i leader politici e come pretendiamo di essere considerati.

È una storia di tutti. È la storia di Maria Elena, 31 anni, modenese, che ha perso il lavoro e non può chiedere un mutuo in banca. È la storia di Simona, 38 anni, insegnante di Melendugno, in Puglia, che aspetta un posto in graduatoria per la scuola e vive ancora con i genitori. È la storia di Alessandro, 33 anni, stagista a Roma in un centro studi, che non sa come pagare l’affitto quando la sua collaborazione finirà. È la storia di Giulia, 27 anni, bolognese, che dopo anni di disoccupazione ha trovato un part time ma non riesce a trovare “il secondo part time”. Certo, è anche la storia di Luca che a 28 anni è già (ci viene sempre da dire “già”, ne parleremo) manager in un grande centro di bricolage in provincia di Bergamo. Non è sempre facile, mi dice al telefono, perché deve dare nuovi compiti ai suoi impiegati, tutti più anziani di lui, e non è nemmeno giusto, perché è pagato meno di suoi colleghi con mansioni meno importanti. Oppure c’è Filippo, 33 anni, che vive a Parigi da tempo e fa ricerca in fisica delle particelle, sembra proprio felice e non ha in mente di tornare.

Le loro storie, e quelle di molti altri, che ho avuto la fortuna di incrociare da vicino, grazie al mio lavoro, mi lasciano sempre sgomento e fiducioso nello stesso istante: sgomento per la sofferenza, il dolore imposto a una generazione quando non si vedono più le opportunità. Fiducioso perché nelle loro parole non trovo quasi mai rassegnazione o uno stanco lamento, ma soltanto la voglia di trovare un posto nel mondo. “La maggior parte dei provvedimenti – mi dice un altro protagonista, Edoardo, 28 anni, laureato Bocconi e manager di Flixbus – è a favore delle persone più anziane. Lo posso capire perché se no nessuno ti vota. Io pago le tasse, come è giusto, ma capisco bene che lo Stato si sta indebitando e saremo noi tra vent’anni a pagare il prezzo”. Non c’è niente da aggiungere.

I conflitti tra generazioni o tra Paesi sono sempre esistiti nella storia. Capire e iniziare a sciogliere questa battaglia tra boomers e millennials che fanno fatica a dialogare è semplicemente irrinunciabile per chiunque voglia parlare con la classe d’età dominante del mondo dal 2020 al 2050: per chiunque voglia prendere i voti, il denaro o almeno l’attenzione di questa generazione.

È davvero tempo di conoscere questa storia.

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