Diventare persone normali

Questa è Ok boomer, qui puoi leggere i numeri già usciti e se vuoi inoltrarla a un’amica, mi fai un grande regalo.

La scorsa settimana abbiamo parlato delle elezioni. La frattura geografica provincia/città sembra confermata. Sul fronte generazionale poco da segnalare, ma è interessante questa evoluzione rilevata da Swg sul voto dei giovani a Milano. Non decisiva, ma racconta qualcosa.

Parlando di generazioni, mi ha colpito la proposta di Carlo Cottarelli: premiare chi fa figli oggi con la promessa di una pensione anticipata. O meglio: sfornare lavoratori che possano presto pagare contributi. È interessante se non altro che si menzioni il problema-futuro, ma è illuminante il peso opprimente del punto di vista-presente, come dire, un po’ relativo. Dovremmo dunque metterci a fare figli perché siamo preoccupati per le pensioni dei boomer, non perché li vogliamo fare e, come dire, lo Stato ci tolga qualche pensiero con uno stock di innovativi (!) posti negli asili nido? Ok.

Negli scorsi giorni ho letto l’ultimo libro di Sally Rooney. In ordine, mi ha divertito e fatto pensare. È un libro che parla del tempo e di come lo usiamo, forse della paura di non usarlo bene, della distanza tra quel che pensiamo di essere e quel che ne pensa il resto del mondo. Dunque delle nostre vite. Mi sembra piuttosto coerente con lo sguardo alle generazioni di Ok boomer.

È anche e soprattutto un romanzo, c’è una storia, e al suo interno un romanzo epistolare, dove una corrispondenza via email tra due amiche accompagna in modo naturale l’evoluzione. La forma è sostanza: siamo abituati al multitasking, a leggere in contesti diversi, un tweet e subito dopo un’immagine. Fanno parte della giornata, quindi funziona leggere una lettera e poi un racconto in terza persona.

Ignorando le etichette generazionali che le sono state puntualmente applicate (“la scrittrice dei millennial”), Rooney scrive di se stessa e del presente che vede. La protagonista, Alice, è una giovane scrittrice di successo, ha già pubblicato dei libri con contratti milionari, ma si chiede se scriverà ancora. Ha la fama e detesta che i lettori dei suoi romanzi pensino a lei come persona e non soltanto ai suoi testi (“I keep encountering this person, who is myself, and I hate her with all my energy”). Insomma, ha successo ma non sa se è felice. Alice non è Sally, ma le assomiglia, pensiamo. Gli amici di Alice ovviamente vedono una storia diversa, fanno lavori normali e mal pagati, spendono gran parte dello stipendio in affitti cari per case brutte. Eileen lavora in una rivista letteraria. Felix in un magazzino (sembra un magazzino di Amazon), un lavoro che non ha scelto. Percorsi in cui il peso del caso è prevalente.

Alice incontra Felix precisamente per caso, o con un po’ di serendipity (quando ciò che è casuale diventa una scoperta felice), ovvero lo trova su Tinder. Il primo appuntamento va decisamente male, ma c’è una seconda occasione che la ricca scrittrice concede al povero magazziniere. Un po’ stereotipo, ma poi funziona.

Alice e Eileen vivono lontane per un po’, poi si riavvicinano, ma una non lo dice all’altra. Continuano a scriversi. Alice chiede ad Eileen: “What are you doing, anyway, if not emailing me? Don’t say working”, che è ovviamente quel che può dire una scrittrice che gestisce il suo tempo a una povera impiegata che invece davvero, ci spiegherà,nell’orario di lavoro non può rispondere a un’email. Mi rimane il dubbio, nel nostro tempo così misto. Davvero Eileen non aveva tempo di rispondere? Cosa ci può essere di più importante che scrivere ad Alice? Saper tenere una corrispondenza dovrebbe essere al giorno 1 del corso 1 di qualsiasi università.

Ma alla fine quelle tra persone sono solo scintille. Il problema è con il contesto. Quando Alice va in un negozio, l’offerta variopinta di brand che competono per diventare il suo pranzo in scatole mono-porzione scatena un senso di colpa occidentale (e ambientale) perché le fa immaginare la fatica invisibile di quella maggioranza della popolazione mondiale che si spacca la schiena nelle piantagioni di grano e caffè, tutte quelle combustioni fossili, i trasporti, tutte dannatamente utili a confezionare il suo stupido pranzo. Tutto è politico, e universale. Dal panino ai massimi sistemi, quasi senza accorgercene. Dunque ogni cosa è difficile da affrontare e diventa insostenibile.

L’ansia generazionale, una certa sensazione di essere incompleti, è su tre piani: rispetto a se stessi, e dunque al lavoro, che ci dovrebbe definire. Rispetto ai legami personali che riusciamo a costruire tra le interruzioni delle nostre giornate. E poi rispetto al mondo che ci si svolge accanto disordinato. Anzi, c’è una frase di Eileen, in un’email ad Alice, che mette persino in contrapposizione i piani:

When we should have been reorganising the distribution of the world’s resources and transitioning collectively to a sustainable economic model, we were worrying about sex and friendship instead. Because we loved each other too much and found each other too interesting.


Sembra quasi un’assoluzione, dunque, ma non è una soluzione. Non ci è possibile risolvere i problemi del mondo, dunque almeno occupiamoci l’uno dell’altro, come normal people. Negli altri libri di Rooney la trama era più o meno: disaffected young people with poor communication skills have sex, find themselves hurt and eventually, sort of, work it out. In questo i protagonisti diventano normali, disillusi ma più felici, forse soltanto un po’ adulti. Possiamo almeno provarci.

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