La strategia della pensione

Se non segui le notizie della politica italiana minuto per minuto, è possibile che quel che ti racconto oggi risulti come una novità. In verità è un grande classico. Puntuale come il rimorso, quando le foglie diventano gialle e cadono dagli alberi nelle nostre città, il governo si deve occupare di presentare la legge di bilancio al Parlamento. È la legge delle leggi, che serve anche per spostare dei soldi da un capitolo di spesa a un altro. E ancora più puntualmente in questa legge ci si occupa di pensioni, semplicemente perché la somma delle pensioni erogate dallo Stato vale un quarto della spesa pubblica italiana (212 miliardi di euro all’anno).

In un Paese che invecchia e dove il numero di pensioni erogate si avvicina a quello degli stipendi dei lavoratori, il costo per le pensioni può diventare un problema. Quando la spesa per le pensioni diventa insostenibile? Nel 2020 il rapporto tra spesa per le pensioni e Prodotto interno lordo, ovvero il valore dell’economia, è stato del 17,1%. Se l’economia vale 100 euro, 17 euro sono spesi in pensioni. In Germania e Francia il rapporto è (e sarà) più basso.

Quando si guarda una percentuale è bene considerare i due numeri che la compongono: è vero, nel 2020 il Pil è crollato perché c’era una pandemia in corso. E la spesa per le pensioni è portata ad aumentare proprio perché la popolazione invecchia. Nel 2020 questa spesa è però aumentata in modo innaturale perché il governo Conte I aveva approvato Quota 100 (a dimostrazione che non sono così giovane, a me Quota 100 fa pensare a questo 100). La misura era stata voluta dalla Lega in quel governo di lungimiranza giallo-verde: l’altra misura costosa era stato il reddito di cittadinanza, voluto dal M5s.

Quota 100 funzionava così: permetteva di andare in pensione a chi aveva almeno 62 anni di età e versato almeno 38 anni di contributi (62+38=100). Il problema è che non ha funzionato granché, perché ha interessato molte meno persone di quelle che quel governo pensava di pre-pensionare. Al tempo stesso è costata molto, perché rispetto alla legge Fornero in vigore prima, permetteva di andare in pensione con cinque anni di anticipo (62 invece di 67). Soprattutto, è costata troppo, dicono gli economisti dell’Ocse perché la spesa per le pensioni “ha tolto spazio a investimenti nelle infrastrutture, nell’istruzione e nella formazione, penalizzando i giovani, molti dei quali sono disoccupati e a rischio di povertà”.

Niente di nuovo, ma qui mi interessa quasi di più il metodo del merito. Sto parlando di Quota 100 all’imperfetto perché, come era già noto quando lo si è deciso anni fa, la misura va cambiata. Non regge. Era una tipica legge pensata per i boomer, potremmo dire. Funziona così: fai una cosa sbagliata, ne sei pienamente consapevole, e dunque la fai lo stesso ma ne limiti la portata nel tempo. È come prenotare il dietologo mentre stai finendo con convinzione un vasetto di Nutella. Ci penseremo poi, ma il poi è già arrivato.

Ora, io ho molti amici boomer, e qualcuno in effetti è andato in pensione con Quota 100. Ma Quota 100 è di fatto una deroga. Cosa stanno dunque studiando i nostri partiti? Nessuno vuole passare come quello che priva gli italiani della pensione, perché finita la deroga si tornerebbe all’uscita a 67 anni. È vero che la legge Fornero è stata approvata nel 2011, quando il Paese rischiava il default. Ma è anche vero che la situazione dei conti pubblici italiani è migliorata per lo più virtualmente, perché la pandemia ha costretto tutto il mondo a fare debito senza preoccuparsene troppo.

Dunque, scrivono i giornali in queste ore: tutti i partiti sono d’accordo nel tentativo di superare Quota 100 in modo “graduale”. L’ipotesi è una Quota 102 nel 2022 e una Quota 104 nel 2023. E poi? Il metodo si replica. Pensiamo con lungimiranza a due anni e poi vedrà chi arriva. I sindacati, che in Italia rappresentano soprattutto i pensionati, gridano allo scandalo. Come andrà a finire? Si discute e si scalpita, e alla fine un’intesa si troverà.

Tutto ok? Insomma. Ora che hai letto fin qui, in effetti, ti potresti chiedere, d’improvviso: “Ma aspetta, ho sbagliato canale? Questa non era una newsletter sulle generazioni? Non si parlava di futuro o perlomeno di avocado toast?” ESATTO. Il punto è che nel cuore del dibattito sui conti del Paese dei prossimi trent’anni, il pensiero è fermo a garantire i boomer. Di generazioni e futuro non si parla proprio, perché inesorabilmente non ragioniamo mai sulle conseguenze delle nostre scelte. Tamponiamo l’emergenza del minuto in corso, e domani vedremo. Così domani sarà indubbiamente più difficile.

Non tutte le scelte politiche sono uguali. Ma quando si parla di pensioni, lo sguardo di lungo periodo dovrebbe essere scontato. “Senza un aumento dell’età di pensionamento, i giovani dovrebbero rinunciare a quote crescenti del loro reddito per passarlo al crescente numero di anziani”, ha scritto oggi Carlo Cottarelli su Repubblica. Tutti conoscono la ricetta, in verità.

Poche righe fa scrivevo: nessuno vuole passare come quello che priva gli italiani della pensione. Ma stiamo sicuri che nessuno rischia di passare come quello che pensa agli italiani del 2050. E buon weekend anche a te!

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