Grande come una casa

Questa è Ok boomer, e benvenuti ai nuovi arrivati. Oggi parliamo di casa e di un paradosso italiano, ma prima un po’ di ordine dalle puntate precedenti.

Qualche settimana fa avevo scritto dei quitters e della great resignation: dell’onda di persone che scelgono di lasciare il proprio lavoro. Quando ne ho scritto non c’erano ancora dati sull’Italia, ma ora ci sono e come mostrano Andrea Garnero e Francesco Armillei, l’effetto si vede anche qui: “Tra aprile e giugno si registrano 484mila dimissioni”; una interruzione di lavoro su cinque si è chiusa con la dimissione del dipendente. I ricercatori si chiedono quali siano le motivazioni. Potrebbe avere un peso il blocco dei licenziamenti, scaduto il primo novembre, che ha tenuto congelato il mercato del lavoro. Possiamo provare a cercare delle motivazioni dietro queste scelte: la pandemia può aver avuto un ruolo, soprattutto nel far emergere nuove esigenze. Persino i sindacati scioperano per chiedere il lavoro remoto, un titolo che forse non avrei mai pensato di scrivere.

Le cose cambiano, dunque. Ma altre non cambiano proprio, ho pensato qualche giorno fa, leggendo l’ennesima ricerca sul desiderio di comprare casa. Titolo: “La casa di proprietà è un desiderio di tutti i giovani sotto i 30 anni“. La ricerca è commissionata da immobiliare.it, ma ce ne sono molte sul genere. Questa dice che il 98% degli under 30 “coltiva il desiderio di acquistare una casa non appena sarà possibile”. Cari i nostri coltivatori, il desiderio è corretto, ma qui i dati non sorridono. Solo il 6% delle case è posseduto da under 35. Quasi il 65% della fascia 18-34 vive in casa di un genitore.

L’età media dell’acquisto della (prima) casa in Italia cresce, oggi è 45 anni. Tutto sembra seguire questo schema molto italiano “Fino ai 45 sei un ragazzino” (sul quale mi sento di dissentire): se consideriamo la fascia fino ai 44 anni, infatti, il 71% è proprietario (ma 4 su dieci ha comprato senza bisogno di fare un mutuo!) e il 29% è in affitto.

Più della metà degli under 35 guadagna meno di mille euro netti al mese. Scrive Lavoce.info: “I giovani di oggi sono più poveri di quanto non fossero i loro genitori alla loro stessa età, mentre gli anziani di oggi sono più ricchi degli anziani di ieri”. Non è una sorpresa che non comprino casa: i redditi che hanno sono troppo bassi o instabili per iniziare a pensarci.

È un circolo vizioso: più a lungo l’acquisto della casa viene rinviato, più viene limitata la capacità di risparmiare. Bloomberg ha dedicato un corposo approfondimento senza farsi problemi sull’ansia generata. Titolo: Millennials Are Running Out of Time to Build Wealth.

Il modo più normale per costruire un patrimonio per l’americano medio (come per l’italiano, del resto) era attraverso la casa. Non è più così, anche perché le case costano molto di più (328 mila dollari in media per i millennials a 40 anni, 216 mila per i boomer a 40 anni).

Mi sono guardato attorno: nella mia rete sociale la gran parte delle persone vive in affitto, vive in case di proprietà della famiglia di origine o ha acquistato una casa con sostanziali aiuti della famiglia d’origine. La stessa pratica della firma di mamma o papà sul mutuo in banca cosa ci deve suggerire? Il sistema sa (deve sapere) che il semplice connubio reddito da lavoro più mutuo bancario non può reggere. E si fa garantire sulla ricchezza dei boomer. È la fine di un modello. Ma quando il reddito non è il motore principale dell’economia, le opportunità diminuiscono. Dipende tutto dal passato: la capacità di costruire qualcosa di buono si riduce drasticamente.

Sono andato in banca, dunque, ovvero ho chiesto a una delle banche più importanti d’Italia di farmi parlare con le persone più titolate in materia. La risposta è che i mutui ai giovani (che in questo caso sono gli under 36) si fanno: è un mercato importante, perché sono clienti che pagheranno a lungo. Valgono il 40% della “produzione totale di mutui” mentre erano il 30% pochi anni fa. Qualcosa si muove, dunque, anche perché i tassi di interesse bassi aiutano chiunque.

La garanzia voluta dal governo Draghi interviene mettendo lo Stato quale garante fino all’80% dell’importo per chi ha meno di 36 anni, per mutui fino a 250 mila euro, con limitazioni per redditi considerati alti (ci torniamo). Ed è un aiuto, mi dicono dalla banca, perché rimuove la necessità di dare un anticipo alla banca.

L’aspetto più interessante della mia chiacchierata riguarda invece quel che i dati non possono dire. Ho chiesto: quanti mutui vengono rifiutati? Risposta: non c’è una vera differenza per classi d’età. Ma c’è invece una auto-selezione all’ingresso: “Chi sa di non poter comprare casa non si avvicina nemmeno all’idea, non cerca neanche informazioni online. C’è una consapevolezza rispetto all’opportunità”. Questo dovrebbe suggerire che gli interventi di garanzia danno più fiducia. Ma ci sono molti dubbi sull’efficacia di questi interventi dall’alto. Scrive Luciano Monti su Lavoce.info che altri governi avevano provato a dare le garanzie ma gli effetti non si sono visti, o si sono visti solo in parte. Sembra un dialogo tra sordi: lo Stato che vuole incentivare l’acquisto dice al nostro giovane, “Suvvia, investi con entusiasmo sul mattone”. Ma il nostro giovane guadagna troppo poco per pensarci e spesso non riesce nemmeno ad andarsene dalla casa di mammà.

C’è poi un paradosso che si può notare anche empiricamente. Nelle grandi città, Milano e Roma, si concentrano molte opportunità di studio e lavoro, molte ipotesi di crescita, anche se riconosco che parlare di geografia in questi tempi sia bizzarro. La garanzia del governo è scritta per aiutare chi altrimenti non ce la farebbe, e ci mancherebbe. Eppure non funziona. È la condanna della media: i numeri non mentono, i redditi degli italiani sono bassi, quelli dei giovani ancora più bassi. Dunque le garanzie e i benefici fiscali dell’intervento di Draghi sono limitati a chi ha un Isee (Indicatore Situazione Economica Equivalente) familiare inferiore ai 40mila euro. Tradotto: se come pretende l’immaginario collettivo siete in due e volete comprare casa, dovete guadagnare 20mila lordi a testa (dunque 1.355 euro netti al mese). Peccato che a Milano lo stipendio medio sia di 33.867 euro lordi. Come avete fatto a vivere finora se (in media) la persona che vi passa accanto per strada guadagna il 65% più di voi? C’è poi il problemino del prezzo d’acquisto: se seguiamo i dati, comprare una casa a Milano costa 5.798 euro al metro quadro. Per un lussuoso appartamento da 65 metri sono 376 mila euro, 126 mila euro oltre la soglia dei 250 mila. Quindi niente garanzia, sorry. Ritentate.

Negli Stati Uniti, dove i millennials hanno anche 32.731 dollari di debito per gli studi fatti, sono più organizzati: il 18% dei millennials in affitto dice già che ha ha deciso di affittare per sempre. Tra coloro che non ha ancora abbandonato la speranza, sei su dieci non ha il denaro per l’anticipo. In Italia, secondo una ricerca (fatta nel 2021, in via di pubblicazione), il 90% dei giovani tra i 18 e i 35 anni dice di “non essere interessato o di non avere le condizioni economiche” per un mutuo per la prima casa. Se fosse vero, qualcosa sta cambiando.

I numeri dicono invece che comunque, quando poi si può, la casa si compra. Ma mi inizio a chiedere anche se, un po’ alla volta, non stia nascendo una sorta di rifiuto, condito dalla disillusione. Perché mai devo comprare casa se prima o poi so che erediterò qualcosa?

Una conferma implicita (e irritata) arriva da un lettore di Ok boomer, che già qualche numero fa mi aveva scritto: “Lascerò a mia figlia, che non fa un cazzo, una casa da 300mila euro, cui si aggiungeranno quella di mia sorella e quella di mia cognata, e altri 300mila di conto in banca”. Non fa una piega, capisco l’irritazione, e non riesco a non pensare che oltre ai numeri tristi per una generazione ci debba essere la volontà del singolo di fare.

Andare via di casa non è più considerato necessario (di nuovo la condanna della media! “Se lo fanno gli altri…”) ed è un bel problema. Mi viene in mente quel che mi hanno detto in banca: “Storicamente la famiglia italiana tiene i soldi sul conto, non è la cosa più intelligente. E non sa programmare i passaggi generazionali”. Confermo, e vorrei organizzare una riunione con il mio lettore, la figlia del mio lettore, un foglio Excel, e qualche idea per distribuire meglio le risorse nel tempo e nello spazio. Magari funziona, e stiamo meglio tutti.

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