Come aver ragione al momento giusto

Questa è Ok boomer e oggi parliamo di tempismo, o meglio della complicata arte di aver ragione al momento giusto.

Due mesi fa il premio Nobel per l’economia è stato assegnato a tre ricercatori conosciuti per aver sviluppato una “rivoluzione della credibilità” nel loro campo. Che significa? Lo spiega meglio di me un altro premio Nobel, Paul Krugman, sul New York Times. Solitamente gli economisti hanno a che fare con ipotesi e fogli di calcolo. Possono osservare ma non fare esperimenti veri e propri, perché, come dire, in mezzo ci andrebbero delle persone, i loro risparmi, il loro lavoro. Guardare ma non toccare. Ci sono però delle importanti eccezioni, e uno degli esempi più famosi, ricorda Krugman, riguarda l’introduzione del salario minimo per i lavoratori nello stato americano del New Jersey.

È il 1992. Fino a quel momento la maggior parte degli economisti pensa che aumentare il salario minimo significa ridurre l’occupazione generale. Il New Jersey introduce la nuova legge. Lo stato della Pennsylvania, che confina con il New Jersey, non lo fa. Scatta l’esperimento: gli economisti osservano i due mercati, quello che ha subito una modifica dall’alto e quello che non l’ha subita, e notano che il nuovo salario minimo del New Jersey non ha un vero effetto negativo sul numero di posti di lavoro. In compenso, i lavoratori più poveri hanno avuto degli stipendi migliori. Yes, we can.

Esperimenti come quello del New Jersey sono stati ripetuti molte volte, e in particolare la pandemia ha offerto un numero inedito di operazioni a cuore aperto sull’economia, dai divieti di licenziamento ai bonus, dai consumi congelati alla corsa a comprare alcuni beni, fino al doping benevolo delle ristrutturazioni. Ogni intervento una tantum nasce dalla volontà di risolvere un problema a cui le forze naturali dell’economia non sembrano in grado di rispondere. Stipendi troppo bassi, centri termali troppo vuoti, o facciate delle case che non vengono ristrutturate per quarant’anni e poi – magia! – si trovano i soldi perché lo Stato li restituisce in credito d’imposta. Quindi si decide a tavolino come far andare le cose: quando leggi che “c’è più Stato nell’economia”, significa proprio questo. Non sempre funziona, ma sono tentativi.

Storicamente, destra e sinistra hanno avuto posizioni opposte su questo tipo di interventi. Per farla molto semplice anche se non lo è: la destra vuole meno Stato, vuole lasciare che sia il singolo a decidere della propria fortuna. La sinistra vuole più Stato, più garanzie, e dunque più spesa pubblica. C’è poi una grande differenza tra destra e sinistra in Italia, per esempio, e destra e sinistra negli Stati Uniti. Ma in generale la pandemia è stata così eccezionale da obbligare anche chi era più vicino alla destra ad accettare misure di emergenza.

A destra, dunque, dicono da sempre che troppe tutele per chi non trova un lavoro diventano un incentivo a non lavorare. È un argomento classico ed efficace anche a casa nostra. Pensa a quell’amico vicino o lontano che ormai da qualche tempo prende ottocento o mille euro di reddito di cittadinanza e magari arrotonda con un lavoro in nero. Rischia di guadagnare più della metà degli under 35 italiani che si presentano puntuali in ufficio, in fabbrica, o almeno in call. Ecco, l’argomento funziona. Eppure, dice Krugman: anche se c’è qualche effetto collaterale e qualche disincentivo derivante dalle tutele per i disoccupati, questi effetti negativi sono davvero piccoli.

Dobbiamo dunque superare la tentazione dell’aneddoto, dell’amico lontano o vicino, e riconoscere: nei numeri non sembra davvero esserci un incentivo a rimanere disoccupati. 

La novità è però nel metodo. Quante volte hai sentito la cantilena sull’epoca dei dati? Bene, finalmente questi dati diventano utili e – nota l’Economist – aiutano persino a conoscere in tempo reale l’andamento dei fenomeni economici. Questo significa che molte bugie o scuse su politiche che non si potevano proprio adottare vengono messe progressivamente da parte. Perché si può provare e osservare. Cosa sta succedendo? Dice Krugman: l’economia basata sui dati tende a supportare politiche economiche più attiviste. Sono le politiche che fino a poco fa avremmo definito “di sinistra”. Ovviamente, vincono tutti: non solo la sinistra. Perché nel momento in cui le politiche sono adottate da tutti, non sono più parziali e divisive, ma benvenute e rassicuranti.

Possiamo dunque dire che sostenere l’aumento del salario medio non è più di sinistra? Dipende. Negli Stati Uniti è bipartisan. E anzi i repubblicani che provano a immaginare una destra dopo Trump (o se non altro provano a mettere in campo delle idee che non lo irritino troppo) presentano un’agenda di diritti, benefit parentali, lotta alle grandi aziende.

In Italia, e lo dico senza troppa esterofilia, l’aumento dei salari sembra ancora un’operazione di sinistra. A destra si parla di flat tax, poi in verità c’è l’eccezione Draghi e il governo si muove. Ma il dibattito di bandiera dice più del ritardo della classe politica italiana che del dibattito economico internazionale. Era dunque giusto – o se non altro saggio – intervenire sui salari negli ultimi decenni? Nell’evoluzione arrivano ogni tanto dei momenti da cui tutto cambia. C’è un nuovo standard. Auguri a chi vuol tornare indietro.

Se guardiamo al passato, la parabola che più mi ricorda questa incapacità di capire giusto e sbagliato, riguarda la battaglia ecologista. Sembrava una nicchia, chi faceva la raccolta differenziata veniva quasi preso in giro, era strano, ora è mainstream tanto da dettare l’agenda alla comunicazione di politica e grandi imprese.

E quindi: stiamo almeno imparando qualcosa? Già, qui parliamo di generazioni. Abbiamo gli strumenti per fare meglio e capire se qualcosa non stia funzionando nel divario di opportunità, stipendi (ancora più grave in Italia, ancora più grave per le donne). In fondo, spetta a ognuno di noi decidere se apparire strani per un po’ ma avere ragione nel 2031, o mantenere una certa coerenza e non capire nulla oggi e domani.

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