L’ho visto su Facebook

Scrivo da un treno in corsa, mi sembra di aver prenotato l’intera carrozza 2 di questo Intercity. Fuori dalla finestra passa la geografia spenta dei campi piemontesi. I fari bucano una nebbia così fitta che il tassista che mi ha portato alla stazione l’ha definita “un nebbione di quelli di una volta”. Non ho discusso sul fascino della nostalgia e sono salito a bordo.

Questa è Ok boomer, e il treno che corre ha ben poco da dire sui grandi fatti della settimana nell’incomprensione diffusa tra generazioni. Però quando sono salito sulla carrozza 2 mi sono trovato dentro al Frecciabianca che dieci anni fa è stato il treno che da casa mia avanzava verso il mondo, o quello che pensavamo fosse il mondo. Hanno fatto un downgrade al povero Frecciabianca, è divenuto un Intercity Notte e fa Torino-Salerno in comode tredici ore e 25 minuti. Io scendo a Milano, ma mi sono rivisto dieci anni fa e mi sono detto un bel Ok millennial: è proprio tutto relativo.

Sembriamo ben avviati verso un nuovo complicato capitolo nella pandemia. Fortunatamente c’è il vaccino, siamo preparati meglio, ma nessuno potrà credibilmente fare grande affidamento sul senso di emergenza, perché tutto passa. Anche l’emergenza non è più quella di una volta, direbbe il mio tassista.

Mentre pensavo a questo, qualche giorno fa, mi è caduto l’occhio su una notizia di agenzia. Il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, parlava della differenza tra generazioni nel leggere la realtà della pandemia, e diceva: “La fascia più critica non è quella dei giovani ma quella della popolazione over 50, più facilmente condizionabile dai social”, “sprovvista di una preparazione e natività digitale che permetta di valutare i contenuti”.

Penso sia in gran parte un problema di contesto, e dunque di nuovo di essere contemporanei al tempo che viviamo. “I social”, che già detta così meriterebbe qualche precisazione, non danno istruzioni per l’uso. E se anche nella frase di Fedriga c’è un pezzo di verità, mi sembra proprio complicato individuare un rapporto di causa-effetto. Ma c’è qualcosa da indagare. Pensa a quante volte al giorno, scrollando inutilmente, provi imbarazzo per qualcuno altro, per quello che qualcun altro ha scelto di dire o fare davanti a tutti. Non serve arrivare agli estremi, allo zio complottista che tutti sembrano avere (non è il mio caso, giuro!). Il danno principale non è nel merito, ma nel metodo.

Non capire il contesto non significa credere a ognicosa, ma significa credere che il proprio punto di vista sia sempre molto importante. Quando lo apro, Facebook mi chiede: “A cosa stai pensando Beniamino?”. Sapessi! Non capire il contesto significa pensare che il parere di un proprio amico sia davvero utile da conoscere. È un amico, mi potrò fidare. Nella sfera commerciale, non ci fidiamo della pubblicità, ma ci fidiamo mooolto degli amici, del passaparola, e chi vende sfrutta a dovere queste tecniche. Il mio amico (magari è un tizio conosciuto dodici anni fa a una festa e mai più visto, ma ne so quasi tutto, perché condivide molto) è stato nel tal ristorante. Se ci è andato lui, forse è una buona idea andarci. È naturale.

Quando ho scritto del problema della casa avevo citato “la condanna della media”. Oggi sento che vorrei scagliarmi contro la dittatura dell’aneddoto.
Perché non ce ne frega niente di quel che hai da dire perché l’hai visto con i tuoi occhi, né tantomeno del racconto di tuo cugino. Un aneddoto non fa tendenza, e sicuramente non lo fa se parli di fenomeni complessi come una pandemia.

Si discute da tempo del fatto che i boomers condividano più fake news delle altre classi d’età. Fedriga parla dei cinquantenni anche perché in Friuli Venezia Giulia è tra le fasce che si sono vaccinate di meno. Nei fatti il dato italiano vede la fascia 40-49 ancora più indietro. Ho molti amici boomer e sarebbe sciocco dire che siano indifesi. Forse sono soltanto meno scettici, e qui vale il solito disclaimer: non siamo tutti uguali, né boomer né millennial. Ma come dicevo qualche puntata fa parlando del lavoro: abbiamo mediamente vissuto percorsi un po’ meno lineari. I millennials sono dei criticoni, a volte persino disillusi. Poi, abbiamo meno tempo, e dunque anche meno tempo per condividere news, e forse ancora meno tempo per condividere fake news.

I millennials non sono la generazione del “l’ha detto la tv” o “l’ha scritto il giornale”. Forse rincorriamo ingenuamente l’autenticità del profilo Instagram che parla dritto in camera proprio a noi (ma dai!) con un maglione supplied dal grande brand. Così qualche boomer scrolla Facebook, le sue perfette tessere di informazione pronte da condividere. Sembrano, come dire, vere. Ufficiali come un titolo del Tg1 delle venti. Uno scroll e c’è il grande giornale, quello dopo c’è la testatina che fa click baiting su tutto, anche sul vaccino. Il carissimo amico del liceo l’ha condiviso, e poi c’è pure il bottone, dice “condividi” e che vuoi fare? Si condivide. Forse si riempie un po’ di tempo, ci si sente meno soli, e buongiornissimo anche a voi.

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